Il licenziamento tramite Whats App

Sì! Ma necessaria la prova dell'effettiva conoscenza dell'atto di recesso.

LAVORO

10/7/20243 min leggere

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Nell'odierna era digitale la piattaforma di messaggistica istantanea è diventata la forma di comunicazione per eccellenza, sia fuori che dentro l'organizzazione lavorativa: innumerevoli sono le volte in cui utilizziamo - dalle banalità amministrative fino alle decisioni più complesse - mail o (più di frequente) WhatsApp per comunicare con superiori, subordinati o colleghi; d'altronde, se un tempo si usava carta e penna per comunicare o cristallizzare fatti, oggi l'informatizzazione ha permesso una migliore gestione di tutto il comparto comunicativo eliminando risme cartacee ed ore di tempo a cercare tra pile di documenti.

Su questa scia ci si chiede se sia possibile licenziare il dipendente tramite messaggistica Whats App e, in caso di risposta negativa, quali siano le conseguenze. La questione non pare di poco conto in quanto, specie nelle grandi realtà multinazionali ove sono in gioco significativi posti di lavoro, è onere della società comunicare, ad ogni dipendente, la volontà di recedere dal rapporto di lavoro: è chiaro che l'attività di notifica ad uno o due dipendenti non equivalga a quella  il licenziamento a cento. 

L'art.2 della legge n.604/1966 prevede, sotto pena di inefficacia, che il licenziamento debba essere comunicato per iscritto. E' chiaro che negli anni di emanazione della presente legge (1966) l'unica forma scritta immaginabile fosse la cd. "carta e penna".

Tale tipologia oggi viene ritenuta vetusta; per ogni tipo di comunicazione si è soliti stampare il documento per poi sottoscriverlo a penna o, in altri particolari casi, direttamente con la firma digitale (art.20, D.Lgs. n.82/2005). Non solo, anche lo stesso messaggio lasciato "via chat" tramite messaggistica istantanea (WhatsApp, Telegram ecc.) o mediante semplice posta ordinaria riveste il requisito di "forma scritta".

In quali casi, dunque, il licenziamento può ritenersi efficace? Per di rispondere alla domanda è necessaria una premessa: trattandosi di efficacia dell'atto e non di nullità, ciò che rileva è l'aver esternato in maniera inconfutabile la volontà di procedere al licenziamento. Ad oggi la messaggistica Whatsapp non è in grado di sostituirsi agli ordinari mezzi di notifica (raccomandata, PEC o telegramma) in quanto neppure l'avvenuta ricezione tramite le cd. "spunte blu" è idonea a certificare l'avvenuta ricezione, immodificabilità ed autenticità del messaggio.

La notifica del documento informatico tramite messaggistica istantanea  (così come la semplice comunicazione per semplice messaggio) può tuttavia ritenersi valida qualora il dipendente non eccepisca alcunché circa la data di comminazione del licenziamento poiché, se da una parte Whatsapp non è in grado di certificare la data in cui il recesso è stato comminato, dall'altra tale principio rimane derogabile qualora non vi sia contestazione tra le parti.  Per fare un esempio: se il dipendente impugna il licenziamento oltre i 60 giorni dalla consegna del messaggio, e non eccepisca alcunché riguardo alla data di effettiva conoscenza (che può esser imputata anche al giorno stesso in cui si notifica l'atto di impugnazione), il Giudice del Lavoro non potrà far altro che constatare la decadenza del diritto di impugnazione (vd. L. n.604/1966). In tal caso la forma scritta verrebbe pure rispettata: è palese che se il dipendente ricorre al Giudice per la tutela dei propri diritti, conseguentemente abbia avuto contezza del contenuto del messaggio.

Vero che la prova dell'avvenuta consegna possa esser data anche mediante testimonianze che documentino fatti perfettamente compatibili con l'avvenuto recesso (ad es. i colleghi di lavoro che dicano di aver sentito il lavoratore lamentarsi del licenziamento da poco comminato), tuttavia tale è da considerarsi controproducente rispetto agli ordinari mezzi di comunicazione (raccomandata, pec, consegna brevi manu, telegramma se non disconosciuto).

A ciò si aggiunga che il licenziamento tramite messaggistica elettronica (sia Whatsapp che SMS o anche per e-mail) sia fisiologicamente incompatibile nelle ipotesi in cui questo si caratterizzi come collettivo (almeno 5 licenziamenti in un arco di 120 giorni, o in ipotesi di CIGS) poiché in tali casi  si applicano le regole di un’articolata procedura che passa attraverso la comunicazione ai sindacati e l’individuazione delle categorie di lavoratori da licenziare (Legge n. 223 del 1991).

Vero che la messaggistica elettronica consenta di "velocizzare" molti processi produttivi e decisionali tuttavia, data la delicatezza del caso, ricorrere in fase di licenziamento a tali espedienti esporrebbe il datore di lavoro a rischi inutili considerato il costo esiguo di una raccomandata. Perché complicarsi la vita quando l'affare è semplice?

Per la giurisprudenza vd. Trib. di Catania, ordinanza del 27/06/2017; Cass. Civ., Sez. Lav., n. 29753/2017; Corte d’Appello di Firenze, sentenza del 05/07/2016, n. 629;